Ares Ferrigni, CEO dell’Azienda di Robotica Wallfarm
La sua startup realizza un robot che coltiva piante all’interno delle Vertical Farm. L’ambizione? Diventare lo standard mondiale di automazione del settore
Il Marketing Digitale rappresenta uno dei talloni di Achille di molte startup. I tecnici spesso non sono così tecnici, e gli strategist non sono così strategist. La facilità di accesso al capitale e la poca esperienza dei founder rappresentano spesso ingredienti letali, se conditi da uno scarso realismo. Tutti si auto-celebrano come imprenditori nella Bio di Instagram. Ma poi, lo sappiamo, fare impresa è un’altra cosa.
Ares Ferrigni no, decisamente non fa parte di questa categoria di facili entusiasti. Founder pragmatico, ragazzo determinato e buon comunicatore, Ares dispone del background e dello spirito per fare bene nella vita. Dal modo in cui ha indirizzato il proprio percorso di studi, all’umiltà con cui ha imparato dai propri errori professionali, è facile leggere nelle sue parole la visione di chi sa dove sta andando.
Noi della Digital Combat Academy siamo fortunatamente finiti nella traiettoria di Ares. L’obiettivo principale? Acquisire una panoramica più dettagliata sulle varie discipline del Marketing Digitale, per espandere quella visione d’insieme orizzontale & verticale tipica di chi deve sia operare che dirigere. Ci auguriamo che Ares entri quanto prima in sinergia con Simone Casciaro che, essendo Docente del modulo di Startup Management, risulta sicuramente il più vicino per interessi e obiettivi di vita.
Per il resto, a lui la parola.
Partiamo dalle origini, ovvero la tua formazione accademica di base. Cosa pensi di esserti riportato a casa dalla Triennale in Comunicazione a Teramo?
“Dalla triennale di comunicazione, sembrerà ovvio, ma ho imparato a comunicare… professionalmente intendo! E non è una cosa semplice e scontata: chi è destinatario del messaggio che comunichi, come è predisposto, che pregiudizio ha su di te, sono solo alcune delle cose che differenziano il peso e il valore del messaggio, anche se le parole poi sono le stesse. Poi ho imparato molte altre cose, ma ad oggi questa è la più evidente che mi tengo stretto”.
Da Teramo a Roma, dalla Comunicazione alla Business Administration, da un corso di studi italiano a uno anglofono. Raccontaci di questo salto, importante, dalla Triennale alla Magistrale. Come sei venuto a conoscenza di questo percorso di specializzazione e come mai lo hai intrapreso?
“Volevo differenziare gli studi rispetto alla comunicazione, ed inizialmente mi sono interessato all’indirizzo di Marketing del corso di Business Administration. Come ogni essere umano ho molti problemi, ma per fortuna l’inglese non è fra quelli: la lingua non è stata un problema. La cosa importante è che a Teramo mi ero fatto un network di amici e conoscenze abbastanza consolidato, cosa che mi piaceva a tratti, per cui ho voluto azzerare tutto e ricominciare daccapo a Roma… Ma con un bagaglio di esperienze in più a supporto”.
Un’idea, per quanto buona, resta tale se non trova il giusto contesto in cui sbocciare. Nell’epoca delle startup, dare modo alle idee di sbocciare significa entrare in connessione con potenziali investitori – pronti a credere in quell’idea per darle una proiezione imprenditoriale. Descrivici l’esperienza in InnovAction Lab e come ha contribuito a formare il tuo percorso imprenditoriale.
“InnovAction Lab ha significato tanto per me. Innanzitutto la voglia di rivalsa da un fallimento: due mesi prima, quando mi sono buttato la prima volta nel campo delle startup, partecipando a uno Startupweekend, presentai un’idea sui droni sentenziando ‘questi droni possono pilotarli tutti’, poi un drone decollò e si schiantò a terra. Hashtag della giornata #PiovonoDroni a #StartupWeekend. Volevo dimostrare a me stesso che da un fallimento si può rinascere.
Poi lo stress delle deadline: se non rispettavi le deadline di consegna, anche per un secondo, eri automaticamente fuori, e questo stress era la principale ragione dell’enorme produttività che si creava spesso tra i partecipanti.
Infine opportunità: siamo riusciti ad arrivare in finale e ad iniziare immediatamente una collaborazione finanziata dalla Barilla, dalla quale è nato il cuore del prodotto che ad oggi proponiamo con Wallfarm”.
A questo punto entra in gioco Wallfarm, la startup di cui sei CEO dal dicembre 2015. Se dovessi spiegare a un pubblico di non addetti ai lavori di cosa si occupa, come ne racconteresti il core business e la vision?
“Wallfarm è un’azienda di robotica: realizziamo un robot che si occupa di coltivare piante all’interno delle Vertical Farm, ovvero quei sistemi di coltivazione dove le piante crescono senza terra (in idroponica) ed una sopra all’altra, su svariati piani. Vendiamo il nostro robot appunto alle aziende che realizzano le Vertical Farm, e che lo implementeranno per automatizzare e rendere connessi i loro sistemi. La nostra vision è quella di diventare lo standard mondiale di automazione per le Vertical Farm, contando che sia vero il trend per cui quasi tutta la produzione di cibo, in futuro, si farà lì”.
Il tuo profilo LinkedIn parla chiaro. Nella tua foto copertina appari come speaker durante una delle manifestazioni del TEDx. Come sei arrivato a quel palco e che relazione hai col public speaking?
“Sono stato chiamato da un team di Torino, segnalato da un ragazzo del politecnico (non so chi in realtà). Mi hanno inviato un modulo dove dovevo fare una proposta di draft, ho proposto ‘come l’umanità sta risolvendo il problema della fame nel mondo’. Il draft è piaciuto, abbiamo fatto una call in inglese e poi mi hanno comunicato che ero stato selezionato, che avrei dovuto partecipare a sei mesi di coaching ed infine all’evento TEDx.
Parlo spesso in pubblico, ma il mio focus è sempre quello di di trasmettere bene il messaggio che ho da dire, per ispirare e convincere gli ascoltatori a seguirmi. Punto più sulla valorizzazione del messaggio che sulla mia figura personale: cerco di valorizzare anche quella, ma la ritengo soltanto un mezzo per arrivare allo scopo”.
Tralasciando la qualità del prodotto o servizio offerto, che illusoriamente diamo per scontata, quali pensi siano gli errori principali commessi dalle startup nell’ambito del Marketing Digitale?
“Il tipico entusiasmo che si respira nelle startup è bello, ma porta molto spesso a fasciarsi la testa e creare continuamente castelli in aria. Questa cosa purtroppo è fin troppo comune, ed ha come conseguenza quella di far accomodare i founder sui loro sogni di gloria invece di entrare immediatamente sul mercato, magari sbagliare, ma poi ritornare con un nuovo bagaglio di esperienze, poi sbagliare di nuovo e così via. Insomma, bene i sogni di gloria, ma poi se si vuole arrivare a far girare un business model servono azione, validazione, aggiustamenti, azione, validazione, aggiustamenti… E pazienza!”.