Azelya Terzi, Studentessa della Digital Combat Academy a Roma
Profilo internazionale, coordinatrice degli eventi della John Cabot University e professionista della comunicazione, lei è Azelya, nuova Studentessa del nostro Corso a Roma in partenza per il 10 aprile 2021 negli spazi di Office Jam, in zona Tiburtina.
Ecco il frutto della conversazione avuta con lei.
Nella tua formazione accademica hai approfondito i temi sulla comunicazione e dei media studies e lo hai fatto alla John Cabot University. Essendo quest’ultima un’università americana hai notato differenze di approccio rispetto alle università italiane?
“Ho scelto di continuare la mia carriera accademica in un’università americana proprio a causa delle differenze tra il sistema americana e quello italiano per quanto riguarda l’organizzazione del semestre accademico e la maniera della valutazione dello studente.
Un semestre dalla John Cabot dura tre mesi, e alla fine dei quali, c’è la “finals week,” ovvero la settimana degli esami finali in cui tutti gli studenti di tutte le facoltà devono completare le loro esaminazioni. Io vedevo i miei amici dell’università italiana soffrire perché stavano in ansia a causa dell’incertezza sulla tempistica degli esami. Mi meravigliavo quando non potevano completare un esame (e avvolte non potevano laurearsi!) perché magari il professore decideva all’improvviso di non presentarsi.
Per quanto riguarda la valutazione dello studente, alla John Cabot non c’era nessuna materia che valutava lo studente con un solo esame (scritto oppure orale). L’esame finale faceva semplicemente parte di un insieme di progetti con percentuali diversi che costituivano il voto. Io mi ricordo che passavo la maggior parte del mio tempo di studio producendo progetti come short film, video, campagne pubblicitarie, e strategie social media annuali, oppure scrivendo saggi su media studies e analizzando del media content perché questi erano i nostri criteri di valutazione. Quindi, il nostro studio di solito si concentrava su creare, e raramente su imparare a memoria dai libri.”
Nel 2019 sei stata Public Relations Specialist per QOOWEAR, il cui CEO e Founder è Simone Casciaro, nostro Docente. Quale contribuito hai portato al team di lavoro e quali vibrazioni positive ti sei riportata a casa da questa esperienza?
“Una delle prime cose che Simone mi chiese fu di costruire la “PR Machine,” il che diventò la base del mio lavoro presso QOOWEAR. Preparavo comunicati stampa, mi occupavo del contenuto della sezione Press del futuro sito web, scrivevo blog post sull’attività dell’azienda, Team, e CEO, aggiustavo il testo in inglese in tutti i contenuti media, (facevo proprio da “grammar nazi”), ma soprattutto mi concentravo di creare un database di contatti dei giornali e giornalisti nei settori target di QOOWEAR (per esempio, oil&gas).
Grazie a QOOWEAR mi sono riportata a casa degli abitudini molto utili che utilizzo nel mio lavoro alla John Cabot ora. Per esempio, li ho imparato l’importanza di essere organizzati nel lavoro, di tenere traccia di ciò che stai facendo e costruendo, perché senza measurement ciò che fai non serve a niente. Inoltre, ho sviluppato le mie competenze Excel e CRM. Applico tutti questo per tenermi organizzata con gli eventi alla John Cabot, seguire le relazioni con caterers, performers, o guest speakers, e misurare il numero/tipo/partecipazione degli eventi presso l’università.”
Creare eventi implica di per se stesso grande passione e, soprattutto, solida capacità di gestire situazioni inaspettate. Cosa ti rende una persona adatta alla gestione degli eventi e come reagisci di fronte agli imprevisti del mestiere?
“Sono sempre stata una persona molto calma, e penso che questa sia uno delle qualità che mi rendono adatta al mio ruolo come Events Coordinator alla John Cabot quando parliamo degli imprevisti. Ugualmente importante è essere organizzati e puntuali. Io sono così anche nella mia privata, quindi esserlo nel lavoro mi viene naturalmente. Gli imprevisti fanno sempre parte del mondo degli eventi, e il mio lavoro consiste anche di prevederli e prepararmi prima che accadono. Avere un “Plan B” è vitale, e da un certo punto il cervello si abitua a crearne uno anche nel momento del imprevisto, anche se magari per quella specifica situazione non ne avevi uno. Bisogna concentrarsi sulla soluzione, non sul problema. E in ogni caso, qualsiasi cosa succeda, communication is key.”
Istanbul e Roma sono state le città della tua vita. Dal punto di vista di crescita e storia personale, cosa ti ha dato la prima e cosa la seconda?
“Istanbul è una città molto caotica dove le persone sono sempre in competizione tra loro, il che è frustrante. Io sono cresciuta a Istanbul fino a 14 anni e a scuola mi sentivo di essere in una corsa di cavalli. Lo scopo di tutto questo era di frequentare in un liceo di prestigio (in Turchia ci sono esami dopo la scuola media per essere ammessi nei licei migliori della tua città) per avere una formazione eccellente. Però quando sono finita a trasferirmi in Italia, che era la best case scenario ever, tutte le mie ansie hanno perso l’importanza perché gli studi che facevo in Turchia non servivono più a niente visto che dovevo frequentare il liceo in Italia. Quindi ho imparato di certamente dare il mio 100% al progetto che ho davanti, ma di farlo senza ansia perché, come ho imparato a Roma, la vita è imprevedibile e ci sarà sempre un Plan B. Non vale la pena preoccuparsi.”