E’ possibile misurare la felicità organizzativa? Intervista a Tiziana Barone, Responsabile Scientifica del felicilÀb dell’Università La Sapienza

– Dalla rubrica di Nicola Mazzara, “Il dato è dato” –

L’ultimo esame della mia carriera accademica l’ho sostenuto con Tiziana Barone (collegati su LinkedIn con Tiziana Barone), oggi però invertiamo i ruoli di intervistato ed intervistatore. 

Tiziana è un’analista semiotica che si occupa dello studio di due linguaggi veri e propri, quali branding e architettura. Ha insegnato ed insegna a La Sapienza Università di Roma, prima semiotica come assistente e poi nel laboratorio di processi organizzativi e cultura d’impresa. Da quest’ultima esperienza nasce il progetto felicilÀb del quale è Responsabile Scientifica all’interno del CORIS – Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale.

L’obiettivo sfidante di questo nuovo progetto di ricerca di Tiziana è creare un modello quali-quantitativo per lo studio e la misurazione della felicità organizzativa all’interno delle organizzazioni. 

Dopo questa breve presentazione, cerchiamo  di comprendere come i dati e la ricerca sociale possono aiutarci per misurare qualcosa di intangibile come la felicità organizzativa:

Il marketing cambia insieme alla società e assieme ad essa cambiano le aziende. Un errore comune di piccole (ma anche grandi) aziende è di pensare all’immediato profitto. Questo spesso produce luoghi non sani. In termini di business quanto influisce lavorare in un ambiente sereno rispetto ad un ambiente di stress? 

L’architettura, come accennavo prima (durante la nostra chiacchierata precedente all’intervista ndr), è un linguaggio perchè mette in relazione un piano  tangibile dell’ufficio, della fabbrica, del coworking, ecc. ma anche le nostre abitazioni, con il piano del significato che lo produce.

Gli effetti dello spazio architettonico sul benessere delle “persone” (è questa la parole chiave) sono studiati da psicologia, sociologia, neuroscienze, semiotica, antropologia e ovviamente l’architettura. Nel caso delle aziende lo spazio di lavoro può incidere sulla felicità organizzativa, cioè su quel vantaggio competitivo che l’azienda può ottenere se utilizza un cruscotto di strumenti che nascono dagli asset culturali dell’azienda. Ovviamente quando andiamo a parlare di asset strategici (culturali o meno) si parla dell’uso di strumenti manageriali e di marketing.

Tutti questi strumenti utilizzati devono avere una base valoriale coerente, che dal punto di vista dell’engagement del co-lavoratore (abolisco il termine dipendente) migliorano la vita in azienda del lavoratore stesso ed anche fuori dall’azienda, cercando di centrare il tema spinoso del work life balance. Questo ovviamente per l’azienda si traduce in un aumento di produttività del co-lavoratore, ma soprattutto un cambio di paradigma dell’engagement con finale aumento del fatturato.

E’ possibile quindi parlare ed ottenere una situazione di felicità in azienda?

Preferisco parlare di felicità organizzativa e non di felicità perché, nel primo caso, parliamo di un concetto multidimensionale che va a rivestire con un taglio sartoriale il corpo dell’azienda posizionando gli strumenti del cruscotto felice in maniera agile e assimilabile da tutti e per tutti. 

Per quanto riguarda la felicità in senso edonico lascio questo ambito a chi ne sa molto più di me, a partire da Aristotele.

Spesso gli studi accademici sottolineano la costante differenza tra organizzazioni statunitensi e quelle europee. Qual è lo stato dell’arte sul tema della Felicità in azienda e quali sono le principali differenze del sistema italiano con il resto del mondo? In che modo l’università avrà un ruolo in questa fase di transizione? 

Da ricercatrice e lavorando con le aziende e per le aziende, sono fermamente convinta che bisogna guardare tutti i modelli culturali di gestione non solo statunitensi, ma anche asiatici in cui l’innovazione è davvero strong. 

In realtà non si può prendere un modello da un altro paese e importarlo così com’è. Si può fare un parallelismo con un capo mass market a taglia unica: andrà bene per pochi, ma non per tutti e il tessuto imprenditoriale di un territorio come l’Italia, specie post covid, ha necessità di avvalersi di un apparato di ricerca multidisciplinare che faccia davvero open innovation trasversale a tutto il territorio.

Ecco perché in Sapienza è nato un laboratorio di ricerca sul tema della felicità organizzativa; l’obiettivo è quello di costruire un metodo di misurazione dell’indice di felicità che è complesso perché al suo interno contiene altri indicatori. Se si implementa il metodo scientifico sarà applicabile a tutti i casi e sarà replicabile n volte, di conseguenza tutte le aziende che crederanno nella ricerca e vorranno provare possono creare insieme un sistema culturale diverso. 

In fondo le imprese hanno un fortissimo ruolo sociale e per essere banale ricordo il caso Olivetti che non era digitale, ma tutti ce lo ricordiamo.

Questa rubrica parla di dati e di come questi influiscono sulle performance aziendali. Grazie ai tuoi studi e alla nascita del felicilÀb si sta studiando un vero e proprio metodo scientifico per lo studio della felicità. Questo metodo avrà un rigore scientifico, ma l’approccio quale sarà? Sarà un approccio quantitativo, un approccio qualitativo o un approccio quali-quantitativo? 

L’approccio è quali-quantitativo; abbiamo un team composto da persone differenti con caratteri, competenze e abilità diverse proprio perché l’apporto personale delle risorse è fondamentale, sebbene io sia la Responsabile Scientifica non vuol dire che sono in una situazione di superiorità; il felicilÀb lavora in un sistema condiviso e condivisibile, con massima chiarezza e inclusività. Su questa base diventa semplice mettere insieme ricerca quantitativa e ricerca qualitativa nell’interesse di un obiettivo comune.

(nell’immagine il team del felicilÀb: Eleonora Matropietro, Elisa Tamburlani, Marta Pellegrini, Emanuela Scarpone e Tiziana Barone)

Per quanto riguarda il metodo sarà certamente scientifico; un’istituzione come La Sapienza non potrebbe mai fare diversamente e la mia personale etica di ricerca mi impedirebbe di mettere in giro la cosiddetta fuffa.

Tiziana, dopo aver affrontato questo interessante argomento ti chiedo di lasciare ai nostri lettori un vademecum di strumenti consultabili online per approfondire l’argomento della Felicità in azienda. Pertanto cosa consigli di leggere, ascoltare e/o vedere?

Vorrei uscire un po’ fuori dal coro e consigliare di leggere testi scientifici di tipo divulgativo in ambito antropologico e filosofico, e di contro cercare  informazioni su una figura divenuta centrale in questo periodo che è il CHO, ovvero il Chief Happiness Officer. Su questa figura manageriale è stato scritto un libro “Chief Happiness Officer: Il futuro è delle Organizzazioni Positive”. Inoltre, consiglierei di osservare sui social e sui trends quali sono i contenuti che ci fanno vedere i bisogni sociali; state certi che un bisogno sociale è anche un bisogno dell’impresa e va appagato. Infine, crediamo nella scienza, abbiamo fiducia e sosteniamo la ricerca, molti lo stanno già facendo.

Collegati con Nicola Mazzara su LinkedIn.