Gianluca Saccente, Founder della Startup di Cibo Artigianale Optymum
Dare un microfono a uno Studente per raccontare la sua esperienza è cosa buona e giusta. Diventa cosa divina quando poi lo Studente è anche a capo di una startup.
È il caso di Gianluca Saccente, giovane volto dell’imprenditoria online & offline che cavalca l’onda dello startupper. Nel farlo, però – e qui entra in gioco il suo vero tratto distintivo – Gianluca trasporta con sé una fondamentale dose di pragmatismo.
Un po’ merito del padre, amico fedele e maestro di vita. Un po’ merito di Gianluca, che non ha mai lasciato che l’entusiasmo prendesse il sopravvento sulla razionalità.
Ho conosciuto Gianluca grazie agli amici, e partner, di Peekaboo, scuola per giovani imprenditori che ha creato la connessione con lui. Proprio di recente, in una Diretta Facebook con Federico Belli, gli abbiamo destinato un saluto.
Gianluca non è solo un bravo imprenditore. È anche, e soprattutto, una brava persona. Quella stessa persona di cui ti fideresti ad acquistare un servizio, o prodotto, come nel caso del suo ecommerce di cibo artigianale denominato Optymum – nomen omen. Quella persona il cui sorriso, genuino e trasparente, ti ispira fiducia, tanto per una gustosa cena quanto per un pantagruelico catering.
La sua Optymum sta avanzando gradualmente, e con costanza, come dovrebbe fare qualunque business solido. Mi piacciono le persone che amano vincere con intelligenza una piccola battaglia alla volta, piuttosto che schiantarsi in guerra finendo subito le munizioni (= iniezioni di liquidità).
Condivido con voi la sua storia con l’obiettivo, solido, di stabilire una relazione di lunghissimo termine – perché no, per sempre – col buon Gianluca.
Partiamo da un assunto: non si diventa imprenditori per caso. Organizzazione, logistica, risorse umane, fiscalità, gestione del cliente. Sono tanti i flussi da gestire, e i problemi da risolvere. Quando hai sentito per la prima volta nella tua vita di avere questo motore imprenditoriale dentro di te?
“Wow, quanti ricordi hai fatto affiorare! Indicativamente tra i 10 – 12 anni, quando ho sentito dentro di me il bisogno di vivere una vita sopra le righe. Abbracciando, sin da subito, il mercato che reputavo il più fiorente e che più si avvicinasse alla mia passione, il cibo. Ho provato di tutto: pesto, marmellate, prodotti agricoli, uova, alcolici, salumi e molto altro. Tenendo sempre le ‘mani in pasta’ ossia occupandomi anche della produzione. La vera declinazione della mia passione prese piede all’età di 14 anni, quando, per la prima volta, decisi di fare il formaggio. Fu subito amore. Una passione travolgente che mi portò ad accumulare, nel corso degli anni, oltre 250 ricette differenti. Una passione per la quale ho dedicato anima e corpo e fatto tanti ‘sacrifici’ (addirittura testavo anche la notte prima di andare a scuola). Con il tempo, mi sono accorto che, il business, qualunque potesse essere, mi ha sempre occupato costantemente il pensiero. Li ho capito che quella era la mia strada. Diventare imprenditore”.
Il rapporto col territorio e col buon cibo ha avuto un ruolo deciso nel lancio del tuo progetto di e-commerce. Partiamo dal concept allora. Come nasce l’idea di Optymum e in cosa si differenzia dai competitor la tua startup sul food?
“Fondamentalmente su due punti: la riscoperta di piccole produzioni davvero ma davvero difficili da reperire. Quelle che rappresentano la vera essenza del buon cibo. In secondo, la voglia di aiutare gli altri. La figura del cavaliere del buongusto è fondamentale per questo. Chiunque può essere remunerato semplicemente consigliando ciò che ci rende fieri, le nostre produzioni artigianali italiane”.
Tutti noi – o quasi tutti – abbiamo un eroe. Può essere un insegnante, un amico e, a volte, un parente. Che ruolo ha avuto tuo padre nel tuo sviluppo personale e lavorativo?
“Amore ed odio. Gli anni dell’adolescenza sono stati sicuramente i più difficili. Le mie idee andavano a braccetto con la sua indole imprenditoriale ma si scontravano con i classici canoni di un padre che ambisce alla realizzazione del figlio, con un buon stipendio ed il ‘posto fisso’. La costanza nell’essere incisivo su determinati argomenti, con il tempo, è riuscita a fare la sua parte scardinando le concezioni di una vita. Da lì è stato amore. Improvvisamente da nemico ‘concettualmente’ da distruggere è diventato un alleato fondamentale. Il mio rapporto con lui è speciale. Una profonda amicizia della quale non mi vorrei mai privare”.
Lasciamo la parte emozionale del business, e passiamo ai fatti. Il mondo delle startup è un mondo bello ma spesso ingannevole. Tanti, troppi, si lanciano in progetti di startup semplicemente perché è facile accedere ai capitali, ma non hanno la stoffa per fare impresa. Semplicemente sanno come spendere soldi, ma non come farli. Come giudichi l’ecosistema italiano delle startup e come, invece, tu ti stai muovendo per costruire un business sostenibile?
“Ho una mia concezione di startup. Ossia che il termine startup sia abbastanza ridicolo. I concetti che racchiude questo nome dovrebbero essere i fondamentali di un impresa. Ormai è diventata più una gara alla ricerca dei fondi che alla creazione di valore. Ma i soldi sono sempre il mezzo, mai il fine. Da quando sono partito non mi è mai venuta in mente l’idea di chiedere soldi a qualcuno. Voglio creare prima un business concreto, con delle precise regole che possano generare utili. Un sistema collaudato e funzionale. Reputo l’immissione di capitali un boost per incrementare la scalabilità. Semplicemente ti permettono di raggiungere prima gli obbiettivi prefissati. Obiettivi che però devi avere ben chiari nella mente. Perciò non li reputo fondamentali inizialmente. Meglio avere un euro ed un business brillante piuttosto che centomila ed un non-business”.