Il grafo sociale: un modello per le relazioni
– Dalla rubrica di Daniele Giussani, “Senza guardare indietro” –
“Non so cos’è, non riesco a comprendere pienamente a cosa serve. Però lo usa l’amico di cui ho fiducia. Per questo lo uso anche io”. Può suonare superficiale, addirittura sgradevole ma è un dato di fatto. Solo quando le persone di cui abbiamo fiducia fanno proprio un nuovo modello o una nuova tecnologia che questa smette di sembrar tale e si trasforma in abitudine.
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Perché ci sono le persone. Ci sono le relazioni. E c’è la fiducia. Poi ci sono nuovi modelli, nuove tecnologie e nuovi strumenti. È sempre l’azione umana a dare la forma. È l’azione umana che costruisce relazioni utilizzando nuovi modelli e nuove tecnologie.
È il semplice pensiero che c’è alla base dei social network, il motivo per cui milioni di persone fanno uso di uno strumento senza conoscerne punti di forza e debolezza. Senza rovescio della medaglia. Convenite con me che se uno strumento si dimostra efficace, non usarlo perché non piace chi lo usa è roba da masochisti.
Internet accorcia le distanze
Si fa presto a dire internet. Fa presto sia chi ne elogia i vantaggi, sia chi ne dichiara gli inconvenienti. Ma di quali vantaggi si tessono gli elogi e a quali inconvenienti, invece, si dichiara guerra? Domanda tanto necessaria quanto inevitabile. Perché troppo spesso dietro vantaggi e inconvenienti si nascondono vere e proprie fallacie che negano la validità delle argomentazioni.
L’inconveniente più in voga (che abbraccia – ahimè – anche il pensiero di molti addetti ai lavori) è sicuramente quello di posizionare Internet sul binario dei tradizionali modelli di comunicazione. Considerarlo come semplice nuovo canale dentro il quale replicare le medesime dinamiche di distribuzione e produzione dei contenuti. Internet è ben altro.
Internet è un mezzo di comunicazione diffuso tra le masse. Internet è la società in rete. È il primo grande mezzo “Glocal” – globale e locale allo stesso tempo – dove ogni singola persona può diventare nodo attivo di una rete per esplorare comunicazione e conoscenza.
Il suo vantaggio più grande è invece quello di avere nel proprio DNA una struttura vera e propria: esplicitante, rappresentante e valorizzante le reti di relazioni tra le persone. È la società reticolare del nuovo millennio, quella raccontata dalle persone che vivono i loro momenti circondati da esperienze e situazioni eccezionali. Condite da immancabili imprevisti.
Noi e i nostri legami
Così iniziamo a disegnare e a dare forma al grafo sociale, il diagramma che illustra le interconnessioni tra persone, i gruppi e le organizzazioni che fanno parte del nostro network. Viene rappresentato come una mappa, un insieme di nodi di rete, linee che collegano punti. Il grafo sociale non è un concetto generico. In questa struttura non c’è nulla di latente.
Quei punti intorno al garbuglio di rette siamo noi e i nostri legami. Possiamo essere protagonisti diventando veri e propri Hub, ovvero un centro nevralgico in grado di connettere tra loro molti altri nodi, facilitando le relazioni delle persone e aiutandole a connettersi tra di loro. La rete si vive e in rete si è in continuo divenire.
Siamo ciò che raccontiamo, ciò che gli altri raccontano di noi. Più siamo presenti e condividiamo le nostre conoscenze e competenze con gli altri, più saremo visibili e apprezzati. È semplicemente la rappresentazione della realtà, delle relazioni sociali e dei flussi tra gruppi di individui. Parla della nostra vita e delle nostre relazioni.
Si chiama social network analysis o se preferite analisi delle reti sociali. Jacob Levi Moreno, fondatore della sociometria, con lo sviluppo dei suoi contributi ne è sicuramente il principale artiere. È una disciplina moderna che raccoglie decisioni e teorie da numerose altre discipline, studi sul caos e sulla complessità.
Il mondo non è tanto grande come sembra
Se internet accorcia le distanze, i social network praticamente le azzerano. Per rendere logicamente valida questa affermazione serve però fare una premessa. Senza andare troppo indietro e scomodare Eulero, i Sette ponti di Königsberg e la nascita della teoria dei grafi.
Ci fermiamo al 1929 e allo scrittore Frigyes Karinthy che nel suo libro “Catene” formulò una singolare teoria per dimostrare che gli abitanti del Globo terrestre sono molto più vicini gli uni agli altri, da tutti i punti di vista, di quanto lo fossero mai stati. […] Indicate, per piacere, un qualsiasi individuo di identità certa tra il miliardo e mezzo di abitanti della Terra, in un qualsiasi punto della Terra − e lui scommette che attraverso al massimo cinque altri individui, di cui uno sia un suo conoscente personale, può collegarsi alla persona designata […]
Nasce così la teoria dei sei gradi di separazione attraverso una semplice intuizione. Una teoria che fiuta quanto è facile arrivare a una persona che vive a migliaia di kilometri. La percezione di Karinthy diventa teoria scientifica quasi cinquant’anni dopo, quando il sociologo americano Stanley Milgram mette in pratica la teoria del mondo piccolo. Il suo esperimento confermò come bastassero dalle cinque alle sette persone a fare da tramite per raggiungere un perfetto estraneo. Cifre che all’epoca fecero impallidire.
Figuriamoci oggi. I social network hanno contribuito a colmare di più il gap, facendo scendere i gradi di separazione a tre, massimo quattro. L’era post-connettività e le sue tecnologie hanno permesso di crescere esponenzialmente il nostro grafo sociale che siamo certi continuerà a espandersi. Se guardiamo il mondo dal punto di vista relazionale possiamo renderci conto di quanto sia diventato piccolo.
Far valere il grafo sociale
Emunctae naris diceva Orazio. Che intuito! diremo noi. Già, perché se di intuito abbiamo parlato per Karinthy e per i famosi sei gradi di separazione, di intuito dobbiamo parlare anche per Reid Hoffman quando decise di lanciare la propria piattaforma social – LinkedIn – e strutturarla prendendo a prestito proprio quelle teorie sociologiche plasmate nel recente passato.
Teorie che hanno contribuito a sviluppare in rete l’importanza delle connessioni con altre persone, utili a portare valore nella nostra vita e nel nostro lavoro. Con semplici parole Hoffman ci spiega i motivi per tenere sempre infiammata la nostra rete di contatti:“se cerchi un’opportunità stai semplicemente cercando delle persone. Se valuti un’opportunità stai valutando delle persone. Se cerchi di provvedere risorse umane o economiche in realtà stai cercando supporto e coinvolgimento di altre persone. Non sono le aziende a offrirti un lavoro ma le persone che sono dietro di esse a farlo”.
I social network sfruttano a pieno la legge di Metcalfe – l’utilità e il valore di una rete sono proporzionali al quadrato del numero degli utenti – dove si afferma in soldoni che un prodotto diventa migliore se molte persone lo usano.
Effetti collaterali?
Ma il prodotto diventa effettivamente sempre migliore se più persone lo utilizzano o potrebbe diventarlo? I social network, strumento comunicativo disintermediato e abilitante, produce effettivamente valore diffuso all’aumentare delle persone che li abitano? Poter leggere, creare, condividere e commentare liberamente sempre più informazioni, diventa stimolo positivo per la società? Il grafo sociale di cui facciamo parte sta arricchendo la nostra realtà?
E come la mettiamo con tutti coloro che abitano i social – diciamo in maniera “non costruttiva” – che vivono i social per coccolare il loro ego, oppure lo utilizzano “furbescamente”, o semplicemente lo usano per vomitare odio nella società? In realtà la mia è una domanda riflessa. Nel senso che è la loro stessa esistenza a porre il punto interrogativo sulle nostre certezze a favore dei tanti aspetti positivi riguardo il grafo sociale e la rete. Tutto torna, a favore o contro. E quel tutto ruota sempre intorno a noi e al modo in cui utilizziamo questi strumenti.