Isabella Ceccarini, Storia di Una Giornalista Che Non Ha Paura del Cambiamento
Isabella Ceccarini ha sperimentato per prima la nostra formula dei Bootcamp. È stato stimolante ospitarla durante la lezione di SEO & SEM.
Come spesso accade, però, non mi sono accontentato dell’ingresso in Aula. Chiunque acceda alla nostra formazione, dal vivo, stabilisce un primo punto di contatto verso una relazione di lungo termine.
L’intervista è uno strumento caro a Isabella che, in quanto giornalista, ha vissuto ogni aspetto della scrittura.
Dai dattiloscritti al blogging, dalla scrittura a mano a quella digitale, Isabella non ha avuto paura di abbracciare il cambiamento e si è concessa una prima esperienza nella formazione per la scrittura orientata ai motori di ricerca.
Nella speranza che la Scuola sia stata all’altezza delle sue aspettative, e che l’Aula abbia saputo creare un clima ospitale per lei, il minimo che potessi fare era entrare nel dettaglio della sua storia professionale.
Chi ha vissuto tanto, ha tanto da raccontare, e tanto valore da condividere. E questa Scuola ha la missione di formare ma anche di ispirare, a tutti i livelli e a tutte le età. Per voi, la storia di Isabella, combattente analogica in un mondo digitale.
Intervistare una persona con tanta esperienza è un piacere per tanti motivi, ma uno in particolare. Consente di viaggiare a ritroso nel tempo ed analizzare fasi del mondo del lavoro oggi sconosciute ai meno adulti. Esploriamo dunque meglio gli albori della tua storia professionale. Quando hai deciso di fare la giornalista e che giudizio daresti del mercato editoriale degli anni ’80 e ’90?
“Dopo essermi laureata in Lingue, sono entrata nella redazione di un trimestrale che si occupava di politica universitaria un po’ per caso e senza nessuna esperienza. Intanto facevo traduzioni e collaboravo come free lance con alcune case editrici.
Trent’anni fa era più facile ritagliarsi uno spazio, ma oggi ci sono molte nuove strade da esplorare. Il web ha annullato i confini e nel campo strettamente giornalistico il pericolo di sfornare bufale è sempre in agguato: bisogna verificare le fonti, documentarsi, formarsi un’opinione, contestare le falsità evidenti. In sostanza bisogna esercitare lo spirito critico: meglio uscire un attimo dopo con una notizia verificata piuttosto che bruciare il traguardo con una bufala.
Escludendo i grandi gruppi editoriali che continuano a disporre di mezzi ingenti, il mercato è cambiato enormemente per i piccoli editori che faticano a sopravvivere e a pagare i collaboratori (quando li pagano). Gli e-book hanno acquisito una fetta di mercato, ma la maggior parte dei lettori ama ancora leggere su carta, e comunque il lavoro di testo e di impaginazione c’è sempre.
L’autoproduzione al 90% sforna cose illeggibili: se un libro costa zero quasi sempre vale zero. I finanziamenti sono scarsissimi, gli investimenti nel comparto culturale sono ridotti all’osso e si è creata una grave crisi dell’occupazione.
Quanto alla soddisfazione, se vogliamo chiamarla così, c’è stato il rendermi conto che quello che ho imparato in tanti anni – e che a volte ho sottovalutato ritenendolo quasi scontato – ha costituito un bagaglio preziosissimo per rimettermi in piedi e ricominciare”.
Da segretaria a capo redattore, sembra il titolo di un film con lieto fine. Eppure rispecchia l’esperienza trentennale che hai intrapreso all’interno una rivista, esperienza in cui hai scalato diverse posizioni lungo il percorso. Come è evoluta questa rivista nel corso del tempo e quali sono le soddisfazioni più grandi che ti sei riportata a casa?
“La particolarità della mia esperienza è che si è svolta in una rivista di nicchia: oltre al direttore c’ero io e qualche saltuario collaboratore esterno. Questo ha significato essere una tuttofare: rapporti con i collaboratori, interviste, articoli, elaborazione dei testi, contatti con uffici stampa, rettori e docenti universitari, controllo del lavoro della tipografia.
Sono infinitamente grata al mio direttore, che mi ha insegnato a lavorare e mi ha fatto imparare facendo, dandomi fiducia e libertà, anche di sbagliare, e soprattutto ha alzato gradualmente l’asticella incoraggiandomi a mettermi alla prova.
Se ripenso ai miei inizi mi sembra di proiettarmi nella preistoria perché ho vissuto cambiamenti davvero epocali: i testi – che arrivavano in redazione dattiloscritti e in qualche caso addirittura scritti a mano (!) – erano preparati da un fotocompositore in lunghe strisce che venivano tagliate con le forbici e incollate sul facsimile dell’impaginato. Poi il tutto passava nelle mani del grafico che impaginava nel formato stabilito; a quel punto si passava alla correzione della bozza di testo e alla revisione dell’impianto generale prima di autorizzare il ‘visto si stampi’.
La rivista dove ho lavorato per trent’anni era ovviamente nata su carta, poi nel 2011 la scelta di passare al web, anche per essere al passo con i tempi. Questo ha cambiato il metodo di lavoro: scrivere per la carta o per il web non è esattamente la stessa cosa, e in più ho imparato a impaginare sul computer.
Non ho seguito corsi ma ho imparato con la pratica: l’apprendimento concreto va benissimo, ma a volte sento la mancanza di una base teorica. L’aspetto positivo è che imparo facilmente sul campo, quello negativo è che sulla teoria sono veramente un caso disperato!”.
Il mondo cambia, e noi dobbiamo adattarci ad esso. Il digitale in particolare ha scardinato parecchie industrie del lavoro, il giornalismo in testa. Quando hai deciso di volerti reinventare professionalmente e come stai vivendo questa transazione?
“Negli anni ho vissuto l’arrivo dei computer, che hanno cambiato totalmente il sistema, sia per i testi che per la grafica. È stata una magnifica rivoluzione che ha permesso di fare quasi tutto da soli, però spesso – almeno nelle piccole realtà editoriali – è venuta a mancare la fase di controllo esterno fatto da un redattore professionista che fa la differenza tra un lavoro curato e di qualità e un lavoro sciatto. Nel 2017 la mia rivista ha cessato le pubblicazioni.
Anche se la chiusura era nell’aria, in un primo momento sono rimasta disorientata. A quel punto ho deciso di rimboccarmi le maniche e respirare il cambiamento che mi ero trovata a vivere mio malgrado: ho pensato di trasformare la crisi in opportunità. Continuo il lavoro giornalistico seguendo ancora l’università e la ricerca, ma ho allargato gli orizzonti ad ambiente e alimentazione (per cui seguo la sezione dedicata di un quotidiano online), ho un blog, ho curato l’ufficio stampa di due spettacoli teatrali, ho moderato tavole rotonde, sono tornata a fare l’editor, faccio parte della giuria di un premio letterario dedicato ai ragazzi, sono entrata in una web community che diffonde il lato positivo dell’informazione nelle scuole e non solo, ho addirittura parlato in pubblico (cosa che per me, timidissima, era impensabile).
Grazie a Luca Rallo ho conosciuto la Digital Combat Academy e per la prima volta ho provato a cimentarmi con un corso teorico-pratico: confesso che arrivare in una classe di ragazzi dell’età delle mie figlie mi aveva un po’ sconcertato, ma il tono molto informale mi ha messo a mio agio. Tutte cose nuove e diverse tra loro, che tengono desta la mia curiosità, mi fanno imparare molto e anche divertire. Ma soprattutto ho capito che nella vita non bisogna avere paura del cambiamento, ma assecondarlo. Se dovessi tradurlo in un’immagine, direi che è come stare in equilibrio sul surf in mezzo al mare: è difficile e impegnativo, può capitare di cadere in acqua, ma quando si torna a galla c’è la soddisfazione di avercela fatta!”.