Le opinioni fanno eco: echo-chamber e confirmation bias nell’era dei social
– Dalla rubrica di Salvatore De Marco, “Cosa ti dice il cervello” –
Con la crisi pandemica la nostra vita quotidiana ha subito enormi cambiamenti, alcuni temporanei, altri invece sembrano essere più duraturi. Uno di questi è il fatto che le persone, per lavoro o per svago, sembrano spendere sempre più tempo su internet e sui social network.
Ciò, ovviamente, ha dei risvolti positivi:
- Le aziende che possiedono queste piattaforme hanno visto incrementati i loro ricavi
- I creator di contenuti hanno un pubblico più ampio
- Nascono sempre più professioni legate all’online
- Gli utenti hanno più contenuti da fruire
Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica. Di pari passo con i cambiamenti, infatti, la nostra società ha dovuto fare i conti con delle ardue scelte, molte delle quali erano tra due estremi: lockdown o rimanere aperti? coprifuoco o liberi tutti? Obbligo vaccinale o libertà di scelta?
È venuta alla luce e si è mostrata in tutto il suo splendore una tendenza a cui stiamo assistendo già da diversi anni, ossia la polarizzazione del dibattito. Le discussioni assomigliano sempre più ad un “o con noi o contro di noi”.
Certo l’isolamento, la reclusione in casa, la noia, la tristezza e l’orgoglio ideologico avranno avuto il loro peso determinante, ma siamo sicuri che non ci siano altre cause? Altri fattori in gioco che ci portano ad essere più radicali e divisivi? E se uno di questi fattori fosse proprio lo strumento (i Social) che, a quanto dicono le statistiche, utilizziamo sempre più spesso?
FANTASCIENZA, NARNIA E TERRAPIATTISMO
Immagina un mondo dove hai sempre ragione, tutti concordano con te, basta uno sguardo per capirsi, le tue battute fanno ridere sempre e trovi interessante ogni argomento di discussione. Impossibile? Fantascienza? Utopia? E se invece ti dicessi che è tutto reale? O, comunque, abbastanza simile alla realtà che vivi tutti i giorni.
Eh sì! Ogni volta che sblocchi il telefono e apri un social network entri in un mondo parallelo, un po’ come se il tuo smartphone fosse l’armadio per Narnia. Unica e impercettibile differenza è che al posto di leoni magici e regine di ghiaccio, questo regno è fatto di persone che conosci, dei tuoi interessi, delle celebrità che segui, delle news sul tuo argomento preferito ecc.
Tutte cose che scegli tu e che, in linea generale, rispecchiano il tuo modo di pensare e interpretare la realtà. Penso ci siano poche persone che aprono Instagram con il preciso intento di mettere like a cibi immangiabili e altrettante meno (spero) che aprono YouTube con lo scopo di trovare video che spiegano perché il governo americano ci nasconde la vera forma della Terra, che tutti sanno essere in realtà piatta.
LE CAMERE D’ECO
Facci caso: quante volte hai visto content creator eliminare commenti perché sconvenienti oppure sono gli stessi autori del commento a cancellarlo perché pieno di risposte con insulti. Magari sei stato direttamente tu il protagonista e hai subito innumerevoli segnalazioni al profilo per aver detto una “frase di troppo”.
Scherzi a parte, quello che succede quando navighiamo su un social viene chiamato Echo-Chamber (o camera d’eco), ossia una situazione in cui “le informazioni, le idee o le credenze vengono amplificate o rafforzate dalla comunicazione e dalla ripetizione all’interno di un sistema definito”.
All’interno di queste camere spesso le fonti ritenute ufficiali non vengono più messe in discussione e coloro che non sono d’accordo con il sentire comune oppure supportano un’interpretazione differente vengono bannati, censurati, allontanati o, ad ogni modo, sono sottorappresentati.
LE 2 DETERMINANTI
Tranquillo, sappi che non è colpa tua e neanche di coloro che reagiscono in modo eccessivo, almeno in parte. Ilfenomeno dell’echo-chamberè conseguenza diretta di altri 2 fattori: uno umano e uno leggermente meno umano.
Quello meno umano è solo scritto e progettato dall’uomo, ma poi lavora in autonomia, ed è il celeberrimo e acclamatissimo algoritmo del feed. C’è chi lo ama, c’è chi lo odia, c’è anche chi lo ignora e si fa i fatti suoi ma, alla fine, nessuno può sfuggirgli.
Il ruolo di questo algoritmo all’interno della piattaforma è quello di selezionare quali contenuti mostrarci tra i milioni che vengono pubblicati ogni secondo e di ogni categoria (seguiti, esplora, sponsorizzati, ricerche) in base a diversi fattori.
Bisogna dire però che ogni piattaforma ha il suo specifico algoritmo: quello di Facebook, simile ad Instagram, è chiamato EdgeRanke tiene conto delle similarità delle interazioni che un utente ha con i suoi amici, pagine e persone seguite, gruppi di cui fa parte, dando priorità ai contenuti con i quali l’utente interagisce maggiormente.
IL PROFESSORE E GLI ALGORITMI
Attraverso uno studio comparativo che prendeva in esame 4 piattaforme (Facebook, Twitter, Reddit e Gab), guidato dal professore Walter Quattrociocchi del dipartimento di informatica dell’università La Sapienza, sono emersi dati rilevanti riguardo l’influenza che l’algoritmo del feed può esercitare sul comportamento degli utenti sui social network.
In particolare, su Facebook e Twitter, dove l’algoritmo è presente, il dibattito che si instaura tra le persone è molto polarizzato e si assiste a forti fenomeni di echo-chambers. Mentre sulle altre due piattaforme, dove l’algoritmo non è presente oppure risulta modificabile (Reddit), la polarizzazione sembra essere minore e i fenomeni delle camere d’eco sono meno frequenti, anche se è comunque osservabile la tendenza degli utenti a riunirsi in gruppi più o meno segregati.
Lo studio ha poi evidenziato anche una sostanziale differenza di reazione tra gli utenti nei confronti dei contenuti che visualizzano: alcuni gruppi tendono a manifestare maggiormente il loro dissenso, mentre altri “non si curan di loro, ma guardano e passano”.
A questo proposito, anche se la piattaforma Gab non utilizza l’algoritmo del feed e, quindi, in linea teorica dovrebbe essere meno polarizzata, non è meno vero che gli utenti della stessa sono spesso reduci da ban di altre piattaforme più famose a causa di alcune loro idee particolarmente radicali. Ciò fa sì che l’intero social sia unagrande camera d’eco,dove si sviluppano e si confermano continuamente idee ed opinioni condivise da tutti, senza possibilità di confronto con punti di vista eterogenei.
Quindi, sì, gli algoritmi possono essere in parte responsabili dei fenomeni di echo-chamber e di polarizzazione del dibattito, ma un’altra parte di responsabilità ricade sugli utenti, a seconda che siano più o meno inclini a mettersi in discussione.
IL FATTORE UMANO
L’altro fattore, quello 100% umano con certificazione D.O.C. (Di Origine Cerebrale), il quale influenza, e forse si potrebbe dire anche causa, il fenomeno delle camere d’eco è il Bias di Conferma – o Confirmation Bias per gli anglofoni.
Questo Bias viene definito in psicologia come “un fenomeno cognitivo umano per il quale le persone tendono a muoversi entro un ambito delimitato dalle loro convinzioni acquisite”.
In parole povere, gli psicologi ci dicono che quando cerchiamo, selezioniamo e interpretiamo informazioni tendiamo a dare maggiore rilevanza e credito a quelle che confermano le nostre ipotesi o coincidono con le nostre opinioni.
Mentre abbiamo un atteggiamento diametralmente opposto per quanto riguarda quelle informazioni che vanno in contrasto con le nostre idee o supposizioni, di fatti le ignoriamo o comunque sminuiamo la loro importanza.
Alcuni esperimenti condotti da Peter Cathcart Wason negli anni ’60 suggerivano che questo fenomeno si sviluppasse negli uomini sin dall’infanzia. Studi seguenti hanno effettivamente dimostrato come le persone tendano a voler confermare le loro convinzioni acquisite e esaminino diverse ipotesi con parzialità, concentrandosi su una singola possibilità e ignorando le altre, andando così a pregiudicare le conclusioni.
COME RICERCHIAMO INFORMAZIONI SUL WEB
Di bias di conferma ne esistono diversi o, meglio, diversi fenomeni sono riconducibili a questa tipologia di bias: il termine “bias di conferma” viene di solito usato per riferirsi a diversi metodi che le persone adoperano per evitare di disfarsi di una credenza, che si tratti della ricerca di prove a favore della loro interpretazione di parte o del loro recupero selettivo da memoria.
Io vorrei concentrarmi sull’effetto che riguarda maggiormente i social, ossia la ricerca delle informazioni.
Diversi esperimenti hanno confermato che le persone, piuttosto che cercare tutte le prove rilevanti per un problema, tendono a formulare domande in modo da ricevere risposte che concordino con le loro ipotesi.
Per esempio, in un esperimento i partecipanti valutavano la personalità di un’altra persona decidendo se questa fosse introversa o estroversa sulla base di un’intervista, le cui domande venivano scelte da una lista predeterminata.
Quando l’intervistato veniva presentato come introverso, i partecipanti sceglievano domande che presumevano introversione, ad esempio “Che cosa non ti piace delle feste rumorose?”, mentre quando l’intervistato veniva presentato come estroverso, quasi tutte le domande presumevano estroversione tipo “Che cosa faresti per ravvivare una festa noiosa?”.
Queste domande rendevano davvero difficile per gli intervistati contraddire, o quantomeno mettere in dubbio, le ipotesi fatte dagli intervistatori.
La ricerca distorta di informazioni spesso pregiudica il risultato della valutazione finale, non a caso Darrell Huff diceva “Tortura abbastanza a lungo i dati ed essi confesseranno qualunque cosa”.
Nel mondo reale, più complesso degli esperimenti e sicuramente non univocamente interpretabile, il modo in cui si pone una domanda influenza la risposta che si ottiene, così come un’ipotesi pregressa può sensibilmente impattare sulla tipologia di approccio che utilizziamo per risolvere i problemi e arrivare alle conclusioni.
COME ALGORITMO E CONFIRMATION BIAS LAVORANO INSIEME
Rimarrei per ore a raccontare esperimenti e fenomeni associati a questo bias, tuttavia, ho una missione da portare a termine: raccontarti come il confirmation bias influenza il tuo (e mio) comportamento sui social, in che modo è collegato alle echo-chamber e agli algoritmi.
Ricapitoliamo: i social e i loro algoritmi sono programmati in maniera tale da farci spendere più tempo possibile sulle piattaforme, mostrandoci i vari contenuti che preferiamo e nascondendo o non mettendo in risalto quelli verso i quali, al contrario, non mostriamo interesse.
Quindi, se consideriamo che già abbiamo una predisposizione mentale volta a ricercare conferme alle nostre idee e aggiungiamo il fatto che gli algoritmi ci mostrano prevalentemente contenuti che ci piacciono, possiamo capire l’origine delle (ormai amate) stanze d’eco: cerchiamo e interagiamo con contenuti che rispecchiano i nostri interessi e le nostre idee e l’algoritmo pensa al resto, mostrandocene sempre di più.
Il nostro cervello e la tecnologia riescono a creare mondi fantastici a compartimenti stagni, che non comunicano tra loro e che, ritengo io, non hanno neanche voglia di comunicare.
CHANGE MY MIND
Alzi la mano chi tra di noi segue o cerca contenuti, post o informazioni riguardanti argomenti che non gli interessano, trattati da persone che la pensano in maniera completamente diversa da lui e, magari, intavola pure discussioni nei commenti per ascoltare le tesi degli altri utenti.
Nessuno? Aspetto eh…
Ok, è vero, forse parto io prevenuto e là fuori c’è veramente qualche pazzo (o saggio) uomo che lo fa, ma penso che la maggior parte di noi usufruisca dei social in modo diametralmente opposto a quanto scritto sopra.
Quando apriamo un’app, scorriamo il feed, guardiamo un video, leggiamo delle news, spesso non abbiamo voglia di pensare. Siamo lì per sfogarci, staccare un attimo, farci una risata o rimanere aggiornati.
Una persona che scorre le stories mentre aspetta l’autobus non penso stia lì per mettere in discussione le proprie idee o voglia avere un ragionevole dibattito sul DDL Zan con uno sconosciuto.
Non sto incolpando nessuno e il mio obiettivo non è certo fare la morale, del resto anch’io utilizzo i social alla stessa maniera: nei momenti morti, nelle pause, per raccontare cosa mi sta succedendo in quel momento ecc.
Vorrei solo portare sotto gli occhi, tuoi ma anche miei, una situazione che, secondo me, ci sta in qualche modo incattivendo. Non siamo più abituati al dibattito, alla contraddizione, al pacifico scambio di idee.
Vedo sempre più persone polarizzarsi e radicalizzarsi attorno a figure di spicco provenienti da ogni dove, solo perché propugnano le stesse idee in cui credono.
Ci sono sempre più echo-chamber all’interno delle quali ci si spalleggia tra compagni e si addita (per non dire peggio) “il nemico”, dove viene ripetuta una e una sola visione del mondo, la quale inevitabilmente condiziona l’interpretazione dei fatti e della realtà di ognuno.
Certo, gruppi, community e imprese si sono fondate grazie alla condivisione di idee e valori comuni e le piattaforme che tutti conosciamo hanno semplificato questo genere di processi. Il lato positivo c’è e bisogna evidenziarlo.
Tuttavia, non si può ignorare il rovescio della medaglia: contenuti che confermano le nostre idee (bias) + ripetizione costante (algoritmo) = perdita del compromesso e polarizzazione del dibattito.
“La verità sta nel mezzo” diceva Aristotele, spero abbia ragione, anche se sembra siano le posizioni più estreme quelle che attirano maggiormente l’attenzione e generano consenso.
LAST BUT NOT LEAST
L’unico consiglio che mi sento di darti, caro lettore, è un piccolo gesto che sto facendo anche io e che mi aiuta ad uscire dalla mia bolla di conferme: ogni tanto, quando sono sui social, vado su account di persone che, per edulcorare, non stimo particolarmente e fruisco dei loro contenuti, zittendo per 5 minuti il mio ego, senza partire prevenuto e con l’obiettivo di osservare la realtà da un punto di vista diverso dal mio.
All’inizio non ti nego che è stato molto difficile: mi arrabbiavo, annoiavo, indignavo…
Poi, piano piano, dietro il velo dell’apparenza, ho cominciato a non vedere più solo utenti ma a scoprire persone, ognuno con la sua storia, i propri interessi, le proprie idee.
Alla fine, anche se penso che di strada ce ne sia ancora molta da fare, ho capito una cosa: le differenze spesso sono poche, ma rumorose, mentre i punti in comune sono tanti, ma rimangono in silenzio.